Psicoterapia di gruppo e Arteterapia: effetti sull’identità e il benessere dei pazienti con GCA

Uno studio del Servizio di Neuropsicologia della Fondazione sugli effetti di questi percorsi nell’adattamento funzionale dei pazienti dopo la fase post-acuta

È noto come gravi danni cerebrali acquisiti comportino esiti disabilitanti a livello senso-motorio, cognitivo-comportamentale, emotivo-psicologico e, in generale, negli aspetti pratici del vissuto quotidiano dei pazienti colpiti. Le Gravi Cerebrolesioni Acquisite (GCA), rappresentano infatti quadri clinici di estrema complessità che possono essere caratterizzati da un periodo di coma oppure da disabilità multiple e complesse, come ad esempio quelle provocate da ictus cerebrali di grave entità.

Nell’esperienza della Fondazione Santa Lucia IRCCS da sempre i trattamenti riabilitativi integrano le terapie cognitive e neuromotorie con percorsi di psicoterapia individuale e di gruppo, che si avvalgono della professionalità del Servizio di Neuropsicologia dell’Istituto.

Nell’ambito del Servizio si è sviluppato il progetto di ricerca “Psicoterapia di gruppo e Arteterapia a confronto: effetti sull’identità e il benessere e la qualità di vita dei pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita” guidato dalla Dr.ssa Maria Paola Ciurli, Psicologa-Psicoterapeuta, Analista Transazionale ed esperta in Neuropsicologia e con la Prof.ssa Cecilia Guariglia in qualità di Responsabile Scientifico.

Il progetto ha coinvolto un’equipe di specialisti diversi: la Dr. ssa Maria Jacomini, Arteterapeuta e Docente di Arteterapia, il Dr. Mario Augusto Procacci, Psicologo-Psicoterapeuta e Analista Transazionale Diplomato, la Dr.ssa Antonella Di Vita, Psicologa-Psicoterapeuta, Specialista in Neuropsicologia e membro del Laboratorio di Neuropsicologia Di.Vi.Na. della Fondazione, i Neuropsicologi Dr.ssa Roberta Massicci, Dr. Giorgio Pireddu e Dr. Antonio Tanzilli.

 

Dr.ssa Ciurli, come è nata l’idea di questo progetto?

Da quanto ho imparato dai nostri pazienti in questi anni, penso che sia fondamentale concentrarsi su una riabilitazione ‘olistica’, orientata cioè non solo al recupero dei deficit conseguenti una lesione cerebrale, ma soprattutto all’adattamento funzionale, al riconoscimento delle proprie risorse residue e delle proprie caratteristiche al fine di costruire una nuova identità, attribuendo personale significato a ciò che è successo e alle esperienze quotidiane per ottenere un proprio nuovo benessere.

Questo approccio ha guidato lo sviluppo di questa ricerca e ha reso essenziale riunire i contributi di colleghi con diverse specializzazioni. Lo scopo era di costruire un percorso terapeutico metodologicamente rigoroso che ci consentisse di analizzare scientificamente i risultati.

Un contributo essenziale è venuto dalla Prof.ssa Guariglia, Responsabile Scientifico del progetto, e dalla Dr.ssa Formisano, Primario dell’Unità Post-Coma della Fondazione.

  

Quali pazienti sono stati coinvolti?

Persone diverse per età e sesso che hanno subito un trauma cranio-encefalico grave, da oltre un anno. Tutti hanno quindi già seguito il percorso riabilitativo dalla fase post-acuta, ma ora si trovano a fare i conti con le loro residue disabilità, il rischio di isolamento sociale, le emozioni di dolore per le perdite che devono affrontare e la paura per l’instabilità e la precarietà che vivono quotidianamente.

Una fase molto delicata in cui spesso i pazienti possono sentirsi spiazzati e, se non adeguatamente seguiti e accompagnati verso un nuovo adattamento, perdere i benefici del percorso fatto.

 

Come si sviluppa il percorso terapeutico?

In un primo momento (T1) i pazienti sono stati tutti sottoposti ad un’indagine di diverse variabili emotivo-psicologiche, comportamentali, cognitive e psico-sociali attraverso questionari somministrati ai pazienti e ai loro caregivers. Dopo due mesi (T2) è stata riproposta la stessa batteria e solo dopo altri due mesi (T3) è iniziato il percorso: uno dei due gruppi ha seguito la Psicoterapia di gruppo e l’altro l’Arteterapia, per quattordici incontri. Dopo altre due sessioni valutative alla fine del primo intervento (T3), e dopo due mesi (T4), ci sono stati altri quattordici incontri, invertendo i gruppi. Infine, i pazienti hanno partecipato alle ultime due sessioni valutative, alla fine del lavoro (T5) e dopo due mesi (follow-up, T6).

 

Dottor Procacci, quali metodiche sono state impiegate nelle sessioni psicoterapeutiche?

Abbiamo lavorato su due gruppi. Il trattamento psicoterapeutico è stato condotto secondo l’approccio dell’Analisi Transazionale, ideata da Eric Berne. Nell’altro, abbiamo seguito i principi propri dell’Arteterapia. In entrambi i gruppi, i primi incontri sono stati dedicati a creare l'alleanza con i conduttori ed il gruppo, stimolare la coesione tra i membri e definire gli obiettivi di cambiamento personale.

Un’altra strategia, comune ai due percorsi, è stata di sollecitare i partecipanti ad andare oltre l'evento traumatico, che li faceva identificare esclusivamente come “pazienti post-traumatici”, per presentarsi soprattutto attraverso i diversi aspetti della loro vita: affetti, desideri, interessi, lavoro, studio, gestione del tempo libero, ecc.

In ogni seduta di psicoterapia ciascun partecipante proponeva al gruppo una propria situazione problematica, o aggiornava gli altri rispetto all’andamento della settimana. La modalità operativa principale è consistita nell’analizzare il momento presente, mettendo in risalto tutto ciò che si verificava nel gruppo durante la seduta, particolarmente se connesso con le problematiche condivise. Le interazioni diventavano così momenti importanti in cui analizzare emozioni, modi di pensare e atteggiamenti assunti. Così, i “non posso”, “non riesco” e le modalità di autocritica personale, venivano elaborate a livello del gruppo per verificare le effettive possibilità e le capacità di ciascuno a realizzare le proprie mete.

 

Dottoressa Jacomini, come si realizza invece l’intervento arteterapeutico?

Nel percorso arteterapeutico si fa leva sulle risorse creative innate, facendo in modo che ciascun paziente entri in contatto con esse durante dei "giochi di gruppo” basati sulla creazione artistica. Non solo le varie tecniche artistiche, dunque, ma il modo ludico e ricreativo con cui venivano proposte, permetteva di far emergere le proprie risorse, prendendo man mano consapevolezza di possedere potenzialità inaspettate e sviluppando uno stupore positivo verso se stessi, che risvegliava la motivazione a esistere e lo stimolo a perseguire i propri obiettivi personali. 

L'attività arteterapeutica, inoltre, si basa su tecniche di rilassamento attraverso la respirazione, la musica e il movimento consapevole del corpo che facilitano il contatto con i propri vissuti interiori.

 

Quali benefici avete potuto osservare già durante le sedute?

Ancora prima dell’analisi dei dati, durante il percorso abbiamo rilevato che la condivisione degli obiettivi di cambiamento rappresenta di per sé un fattore motivante. Si notava dal genere di scambi tra i partecipanti. “Sei poi andato in palestra?”, “Com’è andato l’esame?”, “Hai parlato con tua madre?”: domande come queste oltre a facilitare i rapporti interpersonali e contribuire a far emergere eventuali altre problematiche, rappresentano segni evidenti di crescita della coesione e strumenti per intaccare la cosiddetta ‘barriera alessitimica’ frequente in questi pazienti, facendo rilevare significativi momenti di commozione e manifestazione emotiva, segnali di una ritrovata consapevolezza.

Poi si sono verificati cambiamenti significativi, cui ha partecipato tutto il gruppo, in termini di obiettivi raggiunti o desideri realizzati. Ad esempio, durante una seduta dedicata alla percezione del corpo, un partecipante per la prima volta ha assunto una posizione che coinvolgeva ‘diversamente’ la gamba emiplegica: essersi ripromesso in precedenza di aver cura di sé ha assunto una evidente concretezza attraverso questa nuova postura.

Nell’Arteterapia, le caratteristiche personali fino a quel momento vissute come punto debole, si rivelano come ‘forme vitali’, tratti su cui fondare la propria identità, attraverso i quali riconoscersi ed essere riconosciuto.

 

Dottoressa Di Vita, quali aspettative dal punto di vista scientifico?

Contiamo di poter pubblicare il lavoro su una rivista internazionale e presentare in sede di congressi specializzati i risultati del progetto. Crediamo infatti che la divulgazione scientifica sia il miglior modo per promuovere al di fuori della Fondazione l’idea di una riabilitazione sempre più attenta alla ricostruzione dell’identità attraverso obiettivi funzionali, a partire dal significato personale attribuito alle proprie esperienze quotidiane. Siamo fiduciosi di riuscire in questo intento perché il progetto contiene diversi aspetti innovativi. Sebbene, infatti, l’opportunità di affiancare un trattamento psicoterapico a quello riabilitativo tradizionale sia ampiamente accettata e suggerita nei protocolli di trattamento delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite, solo pochi studi hanno indagato in maniera sistematica l’efficacia degli interventi psicoterapici e pochissimi ne hanno valutato l’impatto sulla qualità della vita, sul benessere e sul senso di identità. In entrambi i casi, con lacune metodologiche importanti come la mancata indipendenza tra gli sperimentatori che valutavano l’outcome e i terapeuti che effettuavano il trattamento, e l’assenza di gruppi di controllo. Aspetti metodologici cui abbiamo posto attenzione in questo studio. Ugualmente, i pochissimi resoconti presenti in letteratura sull’Arteterapia non ne hanno indagato in maniera sistematica l’efficacia. In nessuno studio le due tecniche sono state messe a confronto.