"La Sanità Italiana è molto meglio di come pensano gli italiani. Ora però ci vuole il salto decisivo nell'informatizzazione per liberare risorse da investire in cura e ricerca".
“Ho visto qui oggi la ricerca applicata in una maniera utile ai pazienti e i pazienti che possono dare ai vostri ricercatori un ritorno per migliorare ancora. Complimenti. Ho visto cose bellissime”. Questo il commento di Roberto Viola, a capo della Direzione Generale per Comunicazione Digitale e Tecnologie presso la Commissione Europea a Bruxelles (DG-Connect), al termine della visita presso la Fondazione Santa Lucia insieme a Marco Marsella, Responsabile del Settore Learning, Multilingualism and Accessibility di DG-Connect. Al centro della visita le tecnologie basate su interfacce cervello-computer (BCI), applicate oggi presso la Fondazione nella riabilitazione di pazienti post-ictus e nella comunicazione aumentativa di pazienti con gravi difficoltà d’interazione con l’ambiente. Accanto alle tecnologie BCI le soluzioni robotiche utilizzate in particolare nella riabilitazione di pazienti con lesioni del midollo spinale, come piattaforme di movimento con sgravio del peso corporeo ed esoscheletri. Tecnologie che sono entrate nei percorsi di riabilitazione della Fondazione Santa Lucia grazie in particolare all’attività di ricerca del Laboratorio Interfacce Cervello-Computer diretto dalla dottoressa Donatella Mattia e dal Laboratorio di Neuroriabilitazione Robotica diretto dal dottor Marco Molinari, presso cui sta partendo proprio in questi giorni la sperimentazione di un nuovo esoscheletro nell’ambito del Progetto Europeo Symbitron.
Dottor Viola, che diagnosi fa del trasferimento tecnologico in medicina dall’osservatorio di Bruxelles?
Molti progetti di ricerca portano ad applicazioni importanti e concrete nel settore sanitario. Un obiettivo di grande scenario resta però spiegare l’Europa ai suoi cittadini. Cosa fa l’Europa per migliorare la nostra qualità di vita e cosa ci offre nel momento in cui abbiamo bisogno di salute?
Proprio questo ci interessa sapere: qualche esempio dei fronti sui quali vi state muovendo come Direzione competente per comunicazione digitale e tecnologie.
Un aspetto centrale per l’Europa e sul quale la nostra Direzione è impegnata, è favorire lo scambio dei dati. Oggi abbiamo in tutti i Paesi dell’Unione Europea le stesse regole per la protezione dei dati personali. Con questa garanzia ci sono le condizioni per favorire il più possibile lo scambio d’informazioni sanitarie in assoluta sicurezza. Se ne può avvantaggiare il cittadino che desidera mettere a disposizione di un medico, in qualsiasi località del territorio europeo, informazioni sanitarie per un consulto. Può essere utile sempre al cittadino in situazioni di emergenza lontane dal luogo di residenza. Se ne può avvantaggiare la ricerca, che potrà disporre in futuro di banche dati sempre più ampie per lo studio delle patologie. In tema di condivisione delle informazioni un progetto realizzato recentemente con successo è stata la creazione della rete europea per le Malattie Rare, che permette oggi di conoscere rapidamente dove operano i massimi esperti per ciascuna di queste particolari patologie. Abbiamo costituito ora un gruppo di lavoro con la Direzione Salute per vedere se questa esperienza può essere estesa ad altre aree della medicina che traggono particolari vantaggi dalla disponibilità di ampie strutture di rete. Per esempio la genetica.
Da quale interesse nasce la visita di oggi alla Fondazione Santa Lucia?
Per noi è molto importante l’innovazione del sistema sanitario dalla ricerca di base fino al trasferimento dei risultati nella cura e nella gestione dei pazienti. La compresenza di attività clinica e di ricerca in un’unica struttura, come avete voi qui, è un modello che offre da questo punto di vista molte opportunità e le tecnologie che abbiamo visto lo dimostrano. Ricerca, applicazione, prodotto e ritorno alla ricerca. Questo è il ciclo della ricerca traslazionale che crea valore ed è importante che i dati scientifici che si raccolgono in questo ciclo vengano condivisi. Ecco perché i progetti europei vedono sempre la collaborazione di più centri di eccellenza nei diversi Paesi dell’Unione. Maggiore è questa condivisione d’informazioni, più la ricerca è traslazionale e può dare benefici ai pazienti.
Come è messa l’Italia in questo scenario europeo della ricerca e della sanità?
Gli italiani hanno un’immagine della sanità nazionale che procede con fatica e affanno, ma se compariamo i risultati a livello europeo, registriamo anche in Italia molti centri di eccellenza sia sul fronte dell’attività clinica che della ricerca. L’informatizzazione della sanità italiana deve però riuscire a compiere il salto definitivo. La ricetta elettronica sperimentata in alcune Regioni deve diventare la regola per tutto il Paese. Non solo. È importante che l’informatizzazione raggiunga tutti i livelli organizzativi. Questo produce efficienza nei costi di gestione e quindi risorse che si liberano per il fine più importante: la cura dei pazienti e la ricerca biomedica.
In tempi di bilanci in crisi riesce l’Europa a mantenere un finanziamento alla ricerca degno della società del sapere?
L’Unione Europea investe circa 70 miliardi di euro in ricerca a fronte di un bilancio complessivo che sfiora i 1.000 miliardi. Credo che una società moderna non possa scendere sotto il 5-6 per cento del Pil investito in ricerca e sviluppo. Questo è un livello minimo di sicurezza per una società che voglia vedere i giovani impegnati nelle nuove frontiere, per esempio, della robotica e dei big-data. Ogni euro investito in questi settori produce dieci euro investiti nella società del futuro. Il prossimo 25 marzo porteremo l’Europa nella capitale italiana per festeggiare i sessant’anni della firma dei Trattati di Roma. Sarà un momento importante per riflettere su quale Europa vogliamo nei prossimi sessant’anni. Il programma prevede anche una giornata di riflessione sulle nuove tecnologie e vogliamo lanciare un messaggio chiaro: è importante investire in ricerca.